Anche quest'anno lo Spazio Universita' del Festival del Cinema Africano d'Asia e America Latina ha inaugurato il calendario dei propri eventi: per il secondo anno la Facolta' di Scienze Politiche ha ospitato il Festival, in data 19 marzo presso la sede di Via Conservatorio, all’interno del corso di Sociologia della Comunicazione tenuto dal prof. Federico Boni.
Durante l'incontro in Statale è stato proiettato il cortometraggio BLACK SUSHI, un film del giovane regista sudafricano Dean Blumberg, gia' vincitore del premio CINIT (Cineforum Italiano) – CIEMME (Ricerca e Informazione sulla comunicazione di massa) nella 14° edizione del festival. Il film è una storia di conoscenza reciproca: racconta della fascinazione prodotta dall’arte culinaria giapponese su Zama, un giovane sudafricano nero, che da semplice lavapiatti ed umile discepolo dello chef, diverrà cuoco sempre più abile conquistandosi gradualmente anche il favore della clientela più esigente.
Il Prof. Federico Boni, in seguito alla proiezione, ha approfondito alcune delle tematiche cardine del film, connesse al programma del suo corso, accennando in particolare alla rappresentazione dell’identità culturale attraverso i media, un tema attualissimo già affrontato da grandi autori come Appadurai ed Anderson secondo i quali l’immagine veicolata dalla cinematografia e dalla narrativa porta le persone ad immaginare un’“identità altrui”.
Una riflessione importante è stata dedicata alla manipolazione del concetto di multiculturalità. Tale concetto, inteso a caratterizzare un rapporto di scambi conoscitivi tra più culture e volto a valorizzare le differenze dell’Altro, è in alcuni casi utilizzato in chiave strumentale da alcuni soggetti (perlopiù politici) i quali, a fini propagandistici, usurpano la diversità della sua ricchezza riducendola ad una mera questione di pelle, contribuendo così a diffondere un’immagine negativa dell’altro volta più a disgregare le comunità che ad unirle all’insegna della cooperazione e del rispetto reciproco.
Un contributo importante è stato portato anche dal Dott. Lorenzo Domaneschi, ricercatore presso il Dipartimento di Studi Sociali e Politici, che nel suo intervento ha posto attenzione al concetto di autenticità ricreata al di fuori del suo contesto tradizionale: la storia rappresentata nel cortometraggio si svolge in un anonima Johannesburg, una delle grandi metropoli del mondo che al suo interno accoglie una molteplicità di realtà culturali. Nel sushi bar presentato da Blumberg, la macchina da presa si muove lentamente tra due “aree” del locale -la cucina, retroscena in cui si preparano le pietanze e la sala da pranzo del locale in cui il cibo è offerto ai commensali- svelando le dinamiche che concorrono alla creazione del prodotto autentico: il cibo viene manipolato e disposto sui piatti secondo un rito tradizionale che da anni si tramanda da maestro ad allievo. Il risultato di tali pratiche viene presentato alla clientela, interessata non tanto all’atto del mangiare in sé quanto piuttosto al rivivere l’esperienza culturale, assaporando, attraverso il cibo, l’autenticità del luogo di origine da cui si trova attualmente distante. La cucina e il bancone del sushi bar diventano perciò luoghi di riproduzione culturale: l’autenticità viene ricreata al di fuori del suo contesto natìo.
Domaneschi ha poi approfondito il tema dei confini di questa autenticità e l’attenzione si è concentrata sulle tre soluzioni presentate nel film che riassumono quelli che sono i più comuni atteggiamenti presenti nella società contemporanea: l’idea del protagonista di creare un “pop sushi” testimonia il processo di ibridazione culturale dovuto alla globalizzazione e all’incontro-mescolamento di tratti culturali diversi; in Zama avviene una profonda trasformazione resa attraverso l’espediente del cambiamento di pelle, quella pellicola di pelle formatasi sulle sue mani che lentamente, nel climax della storia, si toglie quasi a significare che da quel momento in poi adotterà un’altra cultura; ed infine, la terza soluzione, quella di Zama che varca il confine tra il retroscena e la scena, rendendosi visibile e noto ai clienti come autore del cibo tradizionale che questi stanno mangiando. In questo ultimo caso avviene il riconoscimento da parte della comunità seppur sempre confinato dietro un’etichetta -quella di “black sushi”- che mantiene comunque un distinguo da ciò che è realmente autentico (il sushi preparato dal maestro secondo la tradizione).
L’incontro si è concluso con una stimolante discussione che ha visto la partecipazione attiva degli stessi studenti, in risposta a quello che era l’auspicio degli organizzatori: creare un ulteriore momento di riflessione e dibattito sui temi di attualità, attraverso il piacere della visione di un’opera cinematografica presentata al festival.
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